Fight Club, dagli scaffali al grande schermo


Dopo aver trascorso un sabato sera come tanti, al rientro a casa, come sono solito fare, accendo la tv.
Con grande stupore, mi trovo davanti un capolavoro cinematografico: Fight Club, di David Fincher.
Forse alcuni ignorano che sia quasi fedelmente tratto dall’omonimo romanzo di Chuck Palahniuk, scrittore americano, il più innovativo e controverso degli ultimi tre lustri.
Nel libro il ritmo è incalzante, la voce narrante martella il lettore con ritornelli e ripetizioni angosciose ed ossessionanti, le numerose metafore anticonvenzionali hanno il sapore di messaggi subliminali sovversivi. Non conosciamo l’identità del protagonista/voce narrante, bensì l’alter-ego Tyler Durden. Questi rappresenta tutto ciò che egli vorrebbe essere, ma non è e che non ha il coraggio di essere. La presenza di Tyler arriva a dominare totalmente la sua vita. Tyler Durden, una sorta di Mr. Hyde anarco-insurrezionalista, guerrigliero dei servizi, ecoterrorista, no-global, che insieme al suo esercito di Scimmie Spaziali pone in essere il suo folle progetto denominato “Caos” (Meyhem, nel film).

I vari Comitati (Aggressione, Disinformazione, Scherzi e Burle) compongono l’ossatura burocratica di questo singolare Sistema Anarchico. Il fine ultimo del “Progetto Caos” è quello di indurre l’umanità ad una prematura età oscura, “distruggere la civiltà per poter cavare qualcosa di meglio dal mondo”. Tutto nasce dalla consapevolezza che la vita completa, la “vita perfetta” che tanto inseguiamo, fatta di auto scintillanti, case sfarzose, vestiti griffati e mobili preziosi, finisce col renderci schiavi, frustrati, annichiliti, umiliati (“…una di quelle scimmie spaziali. Fai quel po’ di lavoro per cui sei addestrato. Tiri una leva. Schiacci un bottone. Non capisci niente e a un certo punto muori e basta.”). A questo modello viene a contrapporsi un microcosmo complesso nella sua apparente semplicità, il fight club. Un luogo di redenzione, di crescita fisica e spirituale, in cui il protagonista riscopre la vita vera divenendo un “uomo nuovo”, un uomo libero.
Ogni domenica, in quel lasso di tempo che sta tra l’inizio e la fine del Fight Club, ogni uomo, anche il più insulso ed insignificante, si erge sulla vetta del mondo, diviene il centro dell’universo, ebbro di vita allo stato puro. Fight Club è soprattutto una critica agguerrita, un rifiuto spietato al modus vivendi hollywoodiano cui aspira l’americano medio. Una vita di fasti, ricchezza, potere, superficialità, noia, vuoto e pochezza interiore. Fight Club è il percorso di un uomo, all’apparenza perfetto (con il suo lavoro perfetto, la sua vita perfetta ma vuota e priva di senso) che attraverso la propria coscienza, materializzatasi sotto umane spoglie, riesce a cogliere l’essenza della vita abbandonandosi ad un radicale e folle cambiamento.
Se anche tu sei insoddisfatto del lavoro che fai, di ciò che sei, se le cose che una volta possedevi, adesso posseggono te, se anche tu fai di tutto per apparire perfetto, per essere ciò che non sei, o se sei semplicemente schiavo del catalogo Ikea…per tutte queste ragioni, e molte altre ancora, è arrivato il momento che tu legga Fight Club.

1 commenti:

Vituozz ha detto...

Tra le "scimmie" nel film c'è un belloccio che è interpretato da Jared Leto il frontman dei 30 seconds to Mars, famosa in particolare è la scena in cui Edward Norton lo scassa tutto a legnate dicendo poi:"avevo voglia di distruggere qualcosa di bello!". Io ho letto di Palahniuk "Survivor"in cui racconta la storia assurda dell'ultimo sopravvissuto di una setta ad un suicidio di massa. Anche in questo caso prende, neanche tanto velatamente, in giro la mentalità gretta di un certo tipo di americani sempre intenti nello sforzo di perseguire obiettivi materiali. Per chi si dovesse cimentare in una lettura del genere è bene che sappia che le prime pagg potrebbero lasciarlo spiazzato dal momento che lui(Chuck)ha l'abitudine di inserire nella narrazione a mo'd'incisi delle riflessioni in prima persona del protagonista, pertanto non è immediato all'inizio capire se il personaggio quelle cose le sta dicendo davvero o semplicemente le pensa.