Psicologia dell'insulto...a'fantoc...

Insulti e parolacce sono una pratica umana universale: benché i contenuti cambino a seconda delle idiosincrasie e dei tabù delle diverse società e culture, le ingiurie risuonano in ogni angolo del pianeta e in ogni secolo della storia. Ma a che cosa servono, e che cosa comunicano davvero?
C'è una bella differenza tra dire a qualcuno: «Il tuo viso assomiglia al risultato finale del metabolismo digestivo» e scandire invece un sonoro «Faccia di merda». Entrambe le frasi sono offensive. Se vogliamo, una è più sottile e colta, l'altra più diretta e immediata.
Ma perché allora la prima non si usa mai? È solo una questione di linguaggio più o meno forbito? Niente affatto. L'insulto, per essere tale, deve trasmettere anzitutto un'emozione. E per riuscirci bisogna ricorrere alla forza emotiva delle parolacce: i giri di parole non funzionano.
C'è chi ha definito gli insulti come «parole magiche» o «proiettili verbali», perché esprimono odio, ira, eccitazione, frustrazione, ma anche humor e affetto. E lo fanno a prescindere dal loro significato intrinseco. Per questo, la loro «traduzione» non è altrettanto efficace. Sono emozioni cristallizzate in pochi suoni. Hanno un significato, appunto, magico.
Gli insulti sono sulla bocca di tutti: li lanciano bambini e adulti, uomini e donne, poveri e ricchi. Ed è un modo di comunicare presente a tutte le latitudini. Si insultavano gli indiani d'America e gli antichi romani, si scambiano ingiurie i cinesi e gli arabi, gli africani e gli europei. Con le dovute differenze culturali e linguistiche, s'intende. Ma a che servono gli insulti? Fanno bene o fanno male?
(fonte: Psicologie e scienze cognitive)